Finanza Sostenibile e CSR: Prospettive future. Intervista a Pietro Negri, Presidente Forum per la Finanza Sostenibile e Responsabile Sostenibilità e Corporate Governance di ANIA

  Osservatorio Socialis   Gen 15, 2020   Blog ed Interviste, News, Principale   Commenti disabilitati su Finanza Sostenibile e CSR: Prospettive future. Intervista a Pietro Negri, Presidente Forum per la Finanza Sostenibile e Responsabile Sostenibilità e Corporate Governance di ANIA

La finanza sostenibile è in crescita tumultuosa: secondo Global Sustainable Investment Review sarebbero pari a 31mila miliardi di dollari gli AUM (Asset Under Management) a livello mondiale (di cui 14mila miliardi di dollari in Europa pari al 46% rispetto al dato globale). In Italia si parla di circa 1.600 miliardi di dollari circa di valore di mercato di tutti i fondi gestiti da istituzioni finanziarie, per conto dei propri clienti o degli investitori.

Per capire quali siano le dinamiche che ruotano intorno al tema della finanza sostenibile e per conoscere i possibili trend futuri, abbiamo intervistato Pietro Negri, eletto presidente del Forum per la Finanza Sostenibile nel giugno 2017 e da tempo attivo in ANIA come Corporate Social Responsibility manager, considerato uno dei massimi esperti nel settore dello Sviluppo Sostenibile in Italia.

Da tempo ANIA è attiva nel campo della CSR. Che rapporto intercorre tra l’utilizzo di strumenti assicurativi e le pratiche di CSR e in che modo secondo lei il settore assicurativo può aiutare ad implementare la Responsabilità Sociale? 

I temi dello sviluppo sostenibile, della responsabilità sociale dell’impresa e della finanza etica vedono gli assicuratori in prima linea nel fornire il proprio contributo sia come gestori del rischio sia come investitori istituzionali. Ad esempio: attraverso una miglior selezione dei rischi da assumere, tenendo conto – valorizzandoli o penalizzandoli – dei comportamenti “sostenibili” o meno dei propri assicurati; predisponendo prodotti assicurativi i cui asset siano rivolti ad attività sostenibili anche su esplicita indicazione degli assicurati (come avviene ad esempio nelle linee di investimento proposte dai Fondi pensione gestiti). Oppure,  favorendo investimenti sostenibili tramite benchmarks di riferimento che possano qualificare come tali le scelte degli assets da parte del Management delle imprese. Infine svolgendo la propria attività d’impresa anche avendo riguardo al contesto socio-economico di riferimento (ad esempio utilizzando codici di condotta e sostenendo attività sociali).

I segnali più interessanti di innovazione nella direzione della responsabilità sociale e ambientale si manifestano per adesso soprattutto nel settore della gestione patrimoniale, che ha nei fondi di investimento, nelle polizze vita, nei fondi pensione e nel private banking gli strumenti più diffusi. In questo ambito vi è un numero crescente di istituzioni finanziarie che ha adottato criteri ambientali e sociali per la selezione delle imprese sulle quali investire attraverso l’acquisto di titoli azionari e obbligazionari con l’obiettivo di migliorare la commercializzazione dei prodotti e di ottimizzare il processo di allocazione del portafoglio.

Le Associazioni di categoria, in particolare, sono chiamate a svolgere un’opera di sensibilizzazione, a fornire servizi e a stimolare le comunità. Come ANIA abbiamo costituito un apposito gruppo di lavoro per la Sostenibilità al quale partecipano le imprese socie e collaboriamo a ogni livello, nazionale e internazionale, con Istituzioni e enti privati che operino per l’approfondimento e la divulgazione di questi temi. Partecipiamo attivamente, fin dalla loro costituzione, al Forum per la Finanza sostenibile, a Eurosif, e all’Associazione Social impact agenda per l’Italia. Da tempo collaboriamo con l’Agenzia per la coesione territoriale (ACT) e l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) – competenti per l’utilizzazione dei Fondi strutturali europei (FSE e FESR) – al fine di progettare e modellizzare strumenti finanziari innovativi che, nell’ambito della politica di coesione, possano essere utilizzati dagli intermediari finanziari e assicurativi a supporto di Politiche ad impatto sociale, avvalendosi di sistemi condivisi di valutazione dell’impatto sociale prodotto.

Quali sono le iniziative europee dal punto di vista normativo che riguardano lo sviluppo della CSR e della sostenibilità che ritiene più significative, per i risultati raggiunti e le prospettive di sviluppo? E quali le eventuali criticità rilevabili?

Come già sottolineato, anche a livello europeo stiamo assistendo ad un’accelerazione importante su questi temi. La Commissione UE, infatti, nel proprio Piano d’azione per lo sviluppo sostenibile, auspica che l’Unione diventi un punto di riferimento mondiale per lo sviluppo sostenibile – un laboratorio permanente di buone pratiche – fondato sulle proprie profonde radici culturali, alla ricerca di un nuovo slancio e ragion d’essere proprio nel momento in cui si concretizzano segnali di crescita. In questo contesto, è indispensabile gestire i nuovi rischi con gli strumenti più efficienti, in grado di rispondere ai bisogni di protezione di famiglie e imprese nell’ambito di un sistema di sviluppo avanzato, sempre meno dipendente dall’energia prodotta dalle fonti fossili e sempre più attento a processi produttivi di tipo circolare rivolti all’intero ciclo di vita dei beni e servizi, dalla progettazione fino al possibile riciclo e riutilizzo delle materie prime impiegate.

Tuttavia, la mancanza di un generale approccio culturale e olistico alla sostenibilità resta il principale ostacolo da rimuovere. A fronte della crescita di consapevolezza e interesse di tutti – operatori finanziari, Società civile e consumatori – cresce anche l’esigenza di una maggior trasparenza, di definire comuni obiettivi, per evitare fenomeni di scarsa chiarezza o, nella peggiore delle ipotesi, di opportunismo in grado di creare danni all’intero processo di trasformazione in corso. Se riusciremo in questo intento avremo maggiori probabilità di accelerare il processo di cambiamento necessario a conservare e mantenere nel tempo le risorse del Pianeta.

E in questo contesto, la Politica deve riuscire a fare scelte talvolta dirompenti nell’interesse complessivo di tutti tenendo conto delle conclusioni scientifiche (ma non solo) e degli interessi e opinioni degli (altri) stakeholder. In particolare, l’esperienza maturata in altri contesti ci dice, ad esempio, che talvolta le politiche climatiche possono avere effetti regressivi, ossia colpire di più le fasce meno abbienti della popolazione rispetto a quelle ricche. Tali effetti vanno presi in seria considerazione e ridotti al minimo, valutandoli attentamente nel disegno di qualsiasi politica climatica a impatto sociale. Qualora non fosse possibile evitare tali effetti regressivi, essi vanno affrontati con mirate misure di compensazione. Solo attraverso la più ampia partecipazione e condivisione nella definizione delle scelte da seguire potremo cercare di sterilizzare o almeno mitigare, le tensioni inevitabili che ne deriveranno. Tutto ciò, in primis, nella contrattazione sindacale alla base della trasformazione dei processi produttivi.

Si manifesta tra l’altro il rischio di carbon leakeage, ovvero di delocalizzazioni industriali fuori dall’Europa a seguito dell’innalzarsi del prezzo delle emissioni di CO2. Per questo è stata proposta l’introduzione di una carbon border tax a livello UE.

Serve un’azione di “sistema” perché – come già detto da altri – non si può essere un po’ sostenibili: o lo si è oppure si può essere solo un po’ meno insostenibili. E un processo trasformativo non deve essere locale/nazionale ma per lo meno continentale. L’European Green Deal annunciato dalla Presidente della Commissione UE Ursula Van der Layen si presenta molto ambizioso e vedremo se si riuscirà ad avviarlo in tempi brevi e a realizzarlo in tutta la sua portata.

Secondo lei, l’uso degli ESG come strumento principale per indirizzare gli investimenti in CSR accomuna ormai tutti gli operatori finanziari, oppure c’è ancora qualcuno che fa a meno di tali indicatori?

Molti sono i vantaggi che possono generarsi nell’azienda attraverso l’adozione di processi integrati con le informazioni ESG: un rafforzamento della reputazione; una maggior capacità di attrazione di talenti; riduzione dei rischi gestionali con l’adozione di soluzioni innovative; un più evidente tasso di innovazione di prodotti e servizi; uno stimolo a una crescita responsabile dei propri fornitori; un maggiore valore dei prodotti e dei servizi, caratterizzati da un positivo impatto ambientale e sociale; l’integrazione della capacità di adattamento e una maggior resilienza alle crisi climatiche e ambientali, oltre che economiche; la creazione di nuove aree nel mercato della domanda di beni e servizi.

Oggi ai gestori è richiesta una marcia in più nell’assolvimento del mandato conferito dalla clientela. Mentre la gestione passiva raccoglie sempre più consensi, grazie alla discreta performance, alla varietà dell’offerta ma soprattutto grazie ai minori costi, ai gestori attivi è richiesta sempre più proattività, un attivismo incentrato sulla adozione di principi e soluzioni connotati di attenzione all’ambiente, all’uguaglianza, all’impatto sociale, al rispetto dei diritti, alla trasparenza. Sempre più investitori (retailers e non) comprendono la possibilità di indirizzare le proprie scelte verso il bene comune, verso un modello nuovo di società, verso un futuro che abbia nella parola sostenibilità il suo fondamento, il suo presupposto, la sua stella polare. In netta controtendenza rispetto al passato. Su questa spinta l’industria finanziaria ha creato diversi prodotti a marchio ESG che attraggono sempre più la platea degli investitori, ma che sembrano caratterizzarsi quasi esclusivamente per uno screening negativo, escludendo cioè settori non graditi ai risparmiatori. Oltre questo primo livello, purtroppo, si fa difficoltà ad andare oltre, a mettere in discussione modelli e filosofie consolidate. Serve chiarezza e trasparenza nella presentazione dei prodotti finanziari, sulle metodologie utilizzate per definire le scelte di investimento, nei processi di rendicontazione e nella misurazione degli effetti prodotti da questi investimenti. Anche sulla spinta regolamentare europea sarà sempre più difficile ignorare i fattori ESG nelle scelte di investimento. I gestori hanno e avranno sempre più in futuro un nuovo ed importante ruolo: stimolare, convincere, orientare, avviare un dialogo costruttivo con le imprese, farsi interprete dei problemi e talvolta propositore di soluzioni.

Secondo l’VIII Rapporto sulla CSR in Italia dell’Osservatorio Socialis, l’85% delle aziende che ha sviluppato attività di CSR dichiara di essere diventato più attrattivo ed affidabile in termini di accesso al credito e come oggetto di investimenti. Pensa che il volume di investimenti in finanza sostenibile sia destinato a crescere ancora in futuro?

Grande rilievo avrà, in Italia, la concreta applicazione delle recenti normative introdotte per le imprese di assicurazione (Regolamento IVASS n. 38/2018 art. 4, comma 2), per i Fondi pensione (d.lgs. n.147/2018) e per gli Investitori istituzionali (d.lgs. n.49/2019 c.d. Shareholder rights) nell’esercizio dell’attività di engagement verso i soggetti investiti che dovranno rendersi sempre più sostenibili per essere attrattivi. Solo a queste condizioni i capitali finanziari potranno entrare in contatto con l’impresa sostenendo l’economia reale del Paese.

Nello screening effettuato in base a criteri di preferenza si considerano le aziende in termini positivi, cercando di individuare quelle società che per comportamenti o prodotti si distinguono in termini di responsabilità sociale ad esempio garantendo una particolare attenzione alla valorizzazione del capitale umano (formazione, pari opportunità, flessibilità, qualità dell’ambiente di lavoro…), ottima comunicazione e gestione del rapporto con gli stakeholders (fornitori, clienti, dipendenti, autorità locali…), il possesso di eccellenti sistemi di gestione ambientale, il supporto a particolari iniziative di tipo sociale, prodotti particolarmente innovativi anche in termini di eco-efficienza, un eccellente sistema di corporate governance, effettivamente applicato, che superi i modelli di riferimento.

Come si cambiano le organizzazioni attraverso l’impegno nello sviluppo sostenibile?

Serve innanzitutto un approccio culturale diverso e questo richiederà del tempo, per modificare modelli di riferimento consolidati. L’organizzazione aziendale deve essere più flessibile e meno verticistica per poter accogliere a pieno il valore che un approccio sostenibile può portare. Non sempre è facile da accettare e da gestire, serve tanta fiducia e capacità di delega, soprattutto da parte del Management. E poi serve capacità di condivisione e circolazione delle informazioni che, da sempre, identificano il “potere” di chi le detiene. Serve un fine lavoro di tessitura, di relazione, che accresca la fiducia nelle organizzazioni e favorisca una vera e trasparente collaborazione. Prevedo la nascita o il consolidamento di nuove figure professionali in futuro in grado di cogliere questo compito.

a cura di Luca Di Michele © Osservatorio Socialis

 

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