CSR e “Human Rights Due Diligence”: opportunità o rischi?

  Osservatorio Socialis   Mag 07, 2020   News, Principale   Commenti disabilitati su CSR e “Human Rights Due Diligence”: opportunità o rischi?

Con il propagarsi del Capitalismo liberale, corroborato da spinte globalizzanti sempre più forti, le grandi imprese multinazionali hanno incentrato sempre di più i loro sforzi nel cercare nuove forme di profitto attraverso l’estensione delle proprie attività anche al di là dei confini nazionali.

Questa tendenza ha portato, da una parte, grandi vantaggi alle imprese multinazionali in termini di opportunità economiche e politiche, ma dall’altra, da un punto di vista strettamente giurisprudenziale, ha compromesso fortemente la tutela dei diritti umani, soprattutto in Paesi dove l’esternalizzazione delle attività d’impresa è garanzia di molti guadagni e pochi doveri.

È questo il tema affrontato nella tesi dal titolo Human Rights Due Diligence come strumento di regolamentazione della catena globale del valore dell’impresa multinazionale: un’auspicabile integrazione con il principio di responsabilità solidale a tutela del lavoratore,  a cura di Sofia Gualandi (laureata presso l’Università degli Studi di Ferrara – Corso di Laurea in Giurisprudenza – Relatrice Prof.ssa Silvia Borelli), vincitrice della menzione speciale del XVII Premio Socialis celebrato al MACRO di Roma lo scorso dicembre.

La catena di approvvigionamento globale dell’impresa multinazionale rimane priva di cittadinanza nel mondo del diritto – afferma l’autrice – E ciò permette alla società principale di mantenere la propria irresponsabilità a fronte delle violazioni dei diritti umani perpetrate dai propri appaltatori, subappaltatori, fornitori, distributori, etc., soprattutto se operanti in Paesi in via di sviluppo”.

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Sebbene ci siano stati alcuni interventi da parte dell’ONU per cercare di arginare tale fenomeno, molto spesso questi provvedimenti facevano parte del cosiddetto corpus delle soft law, mantenendo quindi un approccio volontaristico tale per cui questi tipi di norme non dovevano essere obbligatoriamente accolte all’interno delle politiche aziendali (come il Global Compact).

Da questo punto di vista, Sofia Gualandi spiega che “gli sforzi del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU sulla questione sono esitati, nel 2011, nell’elaborazione degli UN Guiding Principles on Business and Human Rights (UNGPs). Questo documento di soft law, il cui principale artefice è il Professor J.G. Ruggie, supera l’approccio volontaristico di Corporate Social Responsibility del Global Compact. Il Secondo Pilastro degli UNGPs, oggetto di approfondimento del presente studio, ha come destinatarie dirette le multinazionali, e impone a queste ultime un obbligo negativo di non infrangere i diritti umani, da onorare attraverso l’istituto della Human Rights Due Diligence“.

Ma cos’è nello specifico la Human Rights Due Diligence? Ce lo spiega Sofia Gualandi affermando che “si tratta di uno strumento procedural-preventivo finalizzato a integrare i rischi di violazione dei diritti umani all’interno dei sistemi di gestione dei rischi aziendali”.

In definitiva, l’autrice evidenzia il rischio che lo strumento della HRDD, pensato per tutelare i lavoratori contro i comportamenti illeciti dell’impresa, emerga come arma di difesa delle multinazionali “con funzione di riduzione, assoluzione o esonero dalla responsabilità per le violazioni dei diritti umani”.

 

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