“Botteghe d’arte per i giovani della Cambogia” – Intervista a Luciana Damiani Cannetta, Il Nodo Onlus

  Osservatorio Socialis   Mag 04, 2016   Blog ed Interviste, News, Principale   Commenti disabilitati su “Botteghe d’arte per i giovani della Cambogia” – Intervista a Luciana Damiani Cannetta, Il Nodo Onlus

Luciana Damiani Cannetta nel 2008 ha dato vita con il marito Alberto e i figli Martina, Ravi e Josephine alla Onlus Il Nodo che opera in Cambogia. Di cosa si occupa l’associazione?

Il Nodo, il nome già suggerisce cooperazione e solidarietà, si occupa di progetti sociali per aiutare i giovani della Cambogia a lasciarsi alle spalle povertà e ignoranza, mantenendo la ricchezza della propria cultura, e per aiutare le giovani donne e le bambine a costruirsi un futuro privo di ogni forma di sfruttamento. La Cambogia, Paese pressoché sconosciuto da noi, mille anni fa è stata sede del glorioso impero Khmer che fra il IX e il XIII secolo ha costruito centinaia di templi. La parola khmer, che per i più evoca solo il terrore di un regime, definisce invece una cultura ricchissima.

Quali sono state le motivazioni che vi hanno spinto a creare la Onlus?

Andando in Cambogia a trovare nostra figlia Martina non è stato possibile sottrarci alla necessità di fare qualcosa per i giovani khmer – oltre il 50% della popolazione ha meno di 20 anni – ragazzi senza educazione e senza futuro, per ridare loro anche attraverso il design l’orgoglio della loro cultura sepolta dalla giungla e azzerata dai Khmer Rossi. Dopo una lunga esperienza in Asia, anni in India prima e in Cina poi, impegnati a creare rapporti di collaborazione con l’Italia, la presenza di nostra figlia Martina in Cambogia ci ha offerto la possibilità di applicare alle gravi urgenze di questo paese le competenze acquisite e di sfruttare la rete di rapporti creati.

Avevate già dall’inizio una visione chiara di quello che avreste voluto realizzare?

Assolutamente no, abbiamo agito sull’impulso di fare, di dare qualcosa, ma cosa non ci era chiaro. Abbiamo cominciato col dare le nostre competenze, cui si sono man mano aggiunte le competenze degli amici, i molti amici che si sono uniti a noi. Una volta visti i gravi problemi abbiamo cercato possibili collaborazioni in Italia che ci consentissero di proporre delle soluzioni.

Quali sono i principali progetti che avete realizzato o in corso d’opera?

Siamo partiti pensando di valorizzare col design la tradizionale manualità dei giovani, salvo poi renderci conto che un ragazzo per imparare un mestiere deve prima sopravvivere e magari anche andare a scuola. La Cambogia registra una mortalità infantile fra le più alte al mondo soprattutto a causa dell’acqua, gli acquedotti non raggiungono i villaggi e l’80% della popolazione è rurale. Nei villaggi i bambini, soprattutto le femmine, vengono tenuti a casa da scuola per badare ai piccoli, agli anziani.

Il Nodo porta nei villaggi più remoti filtri di potabilizzazione dell’acqua e fa corsi di igiene. In cambio della frequenza dei bambini a scuola consegna ogni mese alle famiglie un’importante derrata alimentare, così il bambino diventa portatore di reddito.

Inoltre sosteniamo i bambini costretti a vivere in carcere con la mamma, attraverso alimenti, medicinali e sostegno; nelle case di detenzione abbiamo costruito sale gioco e studio dove i piccoli possono passare la giornata fuori dalla cella, assistiti da un’insegnante. Sosteniamo i bambini in orfanotrofio con corsi di danza, musica, attività sportive e produttrici di reddito per aiutarli a formarsi un’identità positiva e prepararli al momento in cui dovranno lasciare l’Istituto.

Abbiamo anche un fondo Medicina di Emergenza per affrontare appunto le emergenze sanitarie dei bambini in un Paese in cui la sanità è solo a pagamento. Questo e molto altro c’è da fare in questo Paese così duramente provato. Con l’aiuto di molti amici cerchiamo di venire incontro alle esigenze più impellenti della popolazione, ma stiamo attenti a non dare creando dipendenza dagli aiuti, ma stimolando attività e collaborazione nei beneficiari.

Le maggiori difficoltà che avete affrontato nel percorso di sviluppo de Il Nodo?

Questa generazione di giovani esce da una realtà in cui l’unico possibile obiettivo è la sopravvivenza, sono figli di genitori cresciuti col mitra in mano, cui molte ONG arrivate lì da tutto il mondo hanno lasciato la sindrome dell’assistenzialismo, della dipendenza dagli aiuti. La cosa più difficile da insegnare è la capacità di imparare ed impegnarsi per migliorare il proprio futuro. I ragazzi frequentano la nostra scuola attratti dal pasto e dal gettone di presenza che assicuriamo ad ogni studente. Una volta iscritti, bisogna riuscire a coinvolgerli.

Ogni anno al termine delle interviste ai potenziali studenti ci chiediamo sconsolati: “Da quale di questi possiamo tirare fuori una persona in grado di imparare?” E ogni anno il miracolo succede. Nella nostra scuola imparano modalità di rapporti interpersonali diversi: rapporti alla pari, collaborazione invece di sfruttamento e rivalità di fazioni. Lavoriamo insieme a loro come nelle Botteghe dell’Arte di una volta. Li abituiamo a vivere in un ambiente decoroso, pulito, insomma qualità della vita, modalità che si portano dietro quando si sposano e formano una famiglia. La vera ricompensa per il nostro lavoro è il cambiamento delle persone: arrivano senza educazione, senza speranze, senza un’identità, non trovo parole per definire questi ragazzi che nella loro vita non hanno conosciuto altro che la sopravvivenza ad ogni costo. E dopo due anni diventano persone, con una consapevolezza del loro valore. L’arte, il design hanno fatto il miracolo.

Parlaci delle vostre strategie per trovare i finanziamenti per realizzare i vari progetti che avete in essere e per avviarne dei nuovi.

La nostra principale strategia è la trasparenza e l’impegno personale. Cerchiamo di creare rapporti di assoluta fiducia nella serietà e concretezza dei nostri progetti mettendo in evidenza i risultati ottenuti. La principale risorsa non sono solo i finanziamenti, che pur sono indispensabili, ma le competenze, le idee che ci aiutano a migliorare il nostro operare.

Nell’aprile 2015, ad esempio, si è pensato di coinvolgere gli amici designer, architetti, artisti e la risposta è andata oltre ogni aspettativa: una catena di passaparola cui hanno risposto con entusiasmo e partecipazione oltre 80 autori sia italiani che stranieri inviando disegni, segni, idee che hanno portato agli studenti della Bottega nuovi stimoli e l’orgoglio di sentirsi al centro di una grande catena di solidarietà: i progetti di autori, soprattutto ma non solo italiani, hanno rappresentato per gli studenti una sfida a superare se stessi.

Chi sono i vostri principali finanziatori e sostenitori?

Ci sostengono ed aiutano gli amici vecchi e nuovi, che hanno fiducia in noi, persone venute per caso in Cambogia con noi che hanno visto i progetti, la scuola, i villaggi dove operiamo. I nostri progetti sono partiti con l’aiuto della chiesa cattolica locale. Padre Mario Ghezzi, allora Parroco di Phnom Penh, con grande fiducia nel nostro intervento, ci ha offerto un locale in parrocchia per aprire la Bottega dell’Arte e, a fronte dei risultati ottenuti, collaborazione e sostegno tutt’ora continuano. Oggi ci finanzia anche la Chiesa Valdese, che ha recentemente verificato il nostro operato girando un documentario che ha poi avuto diffusione sulla televisione nazionale.

In passato abbiamo avuto finanziamenti dal PIME, dalla Herrods, da OHCHR – Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights – e oggi da AMADE.

Il racconto della gestione della vostra Onlus pone l’accento sull’enorme impegno, sulle difficoltà, sulla forza e l’energia continua necessarie per procedere: non esiste una sinergia tra le varie Onlus che operano nello stesso paese e in ambiti affini per ottimizzare risorse e investimenti? Chi dovrebbe farne l’eventuale coordinamento?

In generale le Onlus che operano in Cambogia hanno cercato di risanare le ferite lasciate da un tragico passato. Noi abbiamo rivolto soprattutto le sguardo al futuro, cercando di creare per i giovani e per le donne le premesse ad un loro impegno che possa prolungarsi nel tempo. Siamo in questo aperti ad ogni collaborazione ed abbiamo creato, sin dall’inizio, sinergie con tutte quelle organizzazioni che avevano già esperienze radicate sul territorio. Per noi conta la volontà di aprirsi ad altre esperienze, di cercare aiuto e darlo a chi opera con serietà ed impegno. In mancanza di un vero coordinamento dell’operato delle ONG da parte del governo, sono nati vari tentativi di collaborazione gestiti dalle ONG stesse. Il CCC – Cooperation Committee for Cambodia – nasce proprio come un tentativo di trovare un coordinamento fra le ONG che lavorano sul territorio. Ha delle sottocommissioni per aree d’intervento che si incontrano periodicamente per coordinare il lavoro e trovare partnership ed aiuti. Anche in quest’ambito Il Nodo si è sempre impegnato in prima persona nel cercare di creare tavoli di discussione con le altre organizzazioni che lavorano a progetti simili.

Alla luce della vostra esperienza cosa consiglieresti a chi avesse intenzione di intraprendere un percorso analogo? …di andare avanti o desistere?…

Non continueremmo a operare con grande impegno se non credessimo che il nostro lavoro costituisce un’utile goccia d’acqua nel mare di bisogni che troviamo ogni giorno in questo paese meraviglioso e ferito. Tante gocce d’acqua possono creare un mare, anzi meglio una cascata, nella cascata c’è movimento, azione, ciò di cui in Cambogia c’è bisogno.

Quindi bisogna buttarsi, ma con interventi mirati, servono competenze ed impegno. E’ necessaria una conoscenza dei problemi, non si può arrivare con formule preconfezionate o sperimentate in contesti altri. Bisogna affrontare i problemi di questo Paese, cercando la collaborazione delle forze locali, difficile ma non impossibile, una volta creata la fiducia.

a cura di Patrizia Scarzella©osservatoriosocialis.it  

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