CSR e Corporate Social Disclosure degli istituti bancari: stakeholder al centro?

  Osservatorio Socialis   Mar 08, 2018   News, Principale   Commenti disabilitati su CSR e Corporate Social Disclosure degli istituti bancari: stakeholder al centro?

Qual è il real committment che le banche assumono nel redigere il bilancio di sostenibilità e quali sono le implicazioni strategiche che ne derivano?

Partendo da un’esperienza personale, Giuliana Ruggiero dell’Università di Napoli Federico II, menzione speciale del XV Premio Socialis, nella sua tesi di laurea CSR e Corporate Social Disclosure: l’applicazione del principio di materialità nelle banche italiane investiga lo stato dei bilanci di sostenibilità di un campione di banche italiane quotate al FTSE MIB, redatti secondo le linee guida G4 Sustainability Reporting Guidelines della Global Reporting Initiative (GRI). L’analisi intende far luce sulla reale inclusività degli stakeholder nel processo di identificazione dei topic materiali e, più in generale, sulla trasparenza con cui tale processo è comunicato nel reporting.

Diverse le criticità risultanti dall’evidenza empirica: Emerge una mancanza di impegno “reale” – spiega Ruggiero – da parte del management: le imprese analizzate spesso falliscono nel comunicare le attività di stakeholder engagement nel processo di materialità, mostrando delle connessioni non sempre chiare e trasparenti, perlopiù assenti, tra i soggetti coinvolti, il modo in cui sono coinvolti, le aspettative emerse e il modo in cui l’organizzazione ne tiene conto nella definizione delle proprie responsabilità ed impatti. L’evidenza mette in luce, inoltre, una scarsa trasparenza in relazione alle modalità con cui tali impatti sono valutati, con cui sono definiti i criteri di prioritizzazione e le soglie di materialità”.

La criticità delle banche …

Se il 62% del campione individua gli stakeholder da includere nello Stakeholder Engagement (SE), il 75% riporta le attività di SE, nessuna di esse mette però in luce le attività preposte ad identificare le tematiche rilevanti, capaci di esercitare un’influenza sulle decisioni dei propri interlocutori; solo una delle banche riporta le istanze emerse dagli stakeholder, e nessuna di esse comunica o documenta il processo attraverso cui tenere conto delle aspettative emerse. È interessante osservare come ciò accada nonostante sia previsto, dalle linee guida GRI, che le organizzazioni documentino l’approccio in base al quale identificano gli stakeholder, decidono chi coinvolgere, come e quando, ovvero riportino il modo in cui le loro aspettative siano state bilanciate e come l’engagement abbia influenzato i contenuti del report. L’analisi effettuata mostra, inoltre, come nessuna delle organizzazioni prese in esame abbia comunicato il modo in cui gli impatti sono stati valutati, quello in cui sono stati definiti criteri di prioritizzazione e le soglie di materialità.

Più in generale – interviene Ruggiero – i numerosi gap informativi inducono a pensare che l’analisi di materialità possa essere utilizzata dall’impresa per restringere legittimamente il campo di applicazione dei contenuti del report, facendo emergere solo quegli aspetti che essa sceglie di comunicare. Si introduce così il rischio di omissione di quei temi che potrebbero invece essere considerati come importanti dagli stakeholder su cui, però, l’impresa non ha interesse a rendicontare, ovvero di render pubblica un’informativa incapace di raffigurare un quadro completo delle attività e degli impatti, positivi e negativi, causati dall’organizzazione”.

L’utilizzo della rendicontazione di sostenibilità e i benefici da essa attesi presuppongono che le informazioni comunicate siano trasparenti e riflettano l’impatto reale delle imprese. In assenza di trasparenza, tali rapporti tendono ad assomigliare a strumenti di marketing volti soprattutto a migliorare l’immagine e mantenere la legittimazione sociale. La potenziale retorica ottimistica e il potenziale controllo dell’informativa non finanziaria da parte del management, inducono altresì a considerare il bilancio di sostenibilità come una sorta di simulacro: una rappresentazione artificiale e idealizzata che viene scollegata, in una certa misura, dalla realtà.

Una rappresentazione parziale degli impatti complessivi dell’impresa, qualora riscontrata, minaccerebbe l’affidabilità dell’intero report e la legittimità stessa delle organizzazioni.  Il mancato coinvolgimento degli stakeholder ai fini dell’identificazione dei suoi contenuti si tradurrebbe invece nella vanificazione di numerose opportunità per il management, tra cui quella di rafforzare il legame di fiducia tra l’impresa e i suoi portatori di interesse, e gestire, in chiave collaborativa, il rapporto con gli stakeholder maggiormente influenti. Una interazione bidirezionale consentirebbe infatti di carpire le loro istanze e farvi fronte prima che possano costituire una minaccia per l’organizzazione, così assicurandone la sopravvivenza nel lungo termine.

È tuttavia ipotizzabile – continua Ruggiero – che, in un futuro prossimo, la crescente consapevolezza da parte degli stakeholder dei loro “diritti” e del loro “potere”, grazie anche ad interventi legislativi e di sensibilizzazione, possa tradursi in pressioni più stringenti nei confronti delle organizzazioni. Questo potrebbe generare un duplice effetto: da un lato, le aziende potrebbero assumere un maggiore livello di responsabilità rispetto agli impatti (anche indiretti) prodotti e ricercare una comunicazione più trasparente, dall’altro, potrebbero compiere maggiori sforzi volti ad avviare un dialogo effettivo con i propri stakeholder”.

… e le criticità delle linee guida GRI

Ruggiero sottolinea altresì alcune criticità delle GRI G4 Guidelines riscontrabili anche nella loro nuova formulazione, ovvero nei GRI Sustainability Reporting Standards.

Le linee guida  e i nuovi Standard nulla dicono alle organizzazioni su come taluni principi o processi possano essere effettivamente calati nella complessa realtà aziendale, ad esempio in riferimento alla valutazione circa la ‘influenza sulle valutazioni e decisioni degli stakeholder’, sul modo in cui identificare gli stakeholder che dovrebbero esprimere la valutazione, in che modo la valutazione dovrebbe essere espressa, come sintetizzare le valutazioni provenienti da diversi stakeholder, anche tenendo in considerazione il fatto che potrebbero non essere allineate e, talvolta, in conflitto fra loro”.

La rendicontazione di sostenibilità delle banche si estrinseca, in riferimento alla determinazione degli aspetti materiali, in procedure poco trasparenti ed inclusive per i propri stakeholder, così vanificando il più alto senso della comunicazione della performance di sostenibilità – conclude Giuliana Ruggiero – In quest’ottica, la pratica della rendicontazione può essere vista come un dovere morale, un atteggiamento di natura isomorfica assunto dalle imprese per adattarsi al comportamento degli altri soggetti operanti nel medesimo settore, ovvero uno strumento utilizzato per mantenere la propria legittimazione; strumento che, talvolta, utilizzato in maniera inappropriata, è potenzialmente in grado di provocare la perdita della legittimazione già ottenuta. La CSR viene, in questo modo, strumentalizzata. Mancando tuttavia un reale assorbimento dei suoi principi nel governo di impresa, e di uno stretto legame tra performance e sostenibilità, la redazione del repor, lungi dall’avere un reale spessore, finisce per rappresentare solo un costo aziendale e non un investimento, quale dovrebbe essere. Più in generale, si vuole sottolineare come la pratica della sostenibilità intesa e vissuta dalle organizzazioni come un’attività accessoria, oltre a rappresentare un costo, sia una attività rischiosa; al contrario, un programma olistico in cui la sostenibilità sia integrata e nella cultura aziendale e in tutte le funzioni organizzative rappresenta un prerequisito per la sopravvivenza delle imprese nel lungo termine e un driver efficace di crescita”.

Verso un nuovo ruolo delle organizzazioni bancarie

Ecco gli interventi che, secondo l’autrice, potrebbero colmare le lacune emerse:

  1. Fornire al management strumenti pratici che possano aiutarli nella gestione dei rapporti con gli stakeholder, tali da favorire una interazione bidirezionale e consentire all’impresa di avere una migliore comprensione dei propri impatti;
  2. Indagare in maniera più profonda sulle implicazioni derivanti da un basso livello di impegno in relazione alla redazione del report di sostenibilità così da:
  • nel breve termine, indurre il management ad aumentare la consapevolezza dei proprie decisioni;
  • nel medio termine, indirizzare il management verso l’adozione di politiche e strategie in un’ottica di sostenibilità, sia in relazione ai comportamenti posti in essere, quindi ai relativi impatti, sia al modo in cui essi sono comunicati all’esterno;
  1. Sensibilizzare il management sul profondo significato e ruolo della sostenibilità, che non va considerato come accessorio rispetto al modello di business ma che va in esso integrato, anche mostrandone lo stretto legame con la performance aziendale.

 

a cura di Marta Tersigni e Giuliana Ruggiero

 

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