“La conquista sociale dell’impresa”, Intervista a Roberto Panzarani, Docente di Innovation Management

  Osservatorio Socialis   Dic 09, 2015   Blog ed Interviste, News, Principale   Commenti disabilitati su “La conquista sociale dell’impresa”, Intervista a Roberto Panzarani, Docente di Innovation Management

Cosa l’ha spinta a scrivere il suo ultimo libro  Humanity. La conquista sociale dell’impresa?

Per questo libro mi sono ispirato alla lettura di Edward Wilson “La conquista sociale della terra” in cui il famoso biologo illustra in questo interessante saggio lo sviluppo dell’Homo sapiens dallo stadio iniziale alle più importanti conquiste creative, mostrando come, dagli insetti sociali all’uomo, l’evoluzione non sia stata sospinta solo dall’egoismo genetico e dalla competizione individuale, ma anche dallo sviluppo di comportamenti sociali e cooperativi sempre più elaborati all’interno dei gruppi. Su questo aspetto occorrerà che istituzioni e imprese investano se vogliamo realmente fare un cambio di marcia. Inoltre, con questo contributo, ho voluto concludere una trilogia che ho dedicato al tema della collaboration, che ha visto in precedenza la pubblicazione di “Innovazione e Business Collaboration nell’era della globalizzazione” e “Sense of Community e Innovazione Sociale nell’era dell’interconnessione”.

Secondo lei siamo pronti per una globalizzazione intelligente?

In questi anni in cui abbiamo seguito i livelli massimi di globalizzazione, senza preoccuparci del fattore umano, della centralità dei valori, del rispetto per la cultura della differenza. Ad esempio abbiamo assistito impotenti a scene di intolleranza di fronte all’“esodo biblico” che ha messo in ginocchio l’Europa, dimostrando un gravissimo gap che pesa su tutto l’Occidente. Più in generale, basta pensare a quanto il termine “comunità” della Comunità Europea sia stridente in in un contesto che vede un paese intimare continuamente all’altro di “fare i compiti a casa”, creando un dannoso processo di “infatilizzazione”. Un governo, un popolo, uno stato, a queste condizioni non possono maturare un’etica della responsabilità nel comune e reciproco rispetto delle sfide che si debbono affrontare. Le parole sono importanti, perciò non andrebbero mai usate a caso.

Edgar Morin parla di una “riforma del pensiero”, lei cosa ne pensa?

La metafora di Michel de Montaigne di preferire una “testa ben fatta a una testa ben piena”, dopo cinque secoli, mantiene intatta la sua freschezza. Michel Serres in “Non è un mondo per vecchi” ha ripreso questa immagine efficace, che fotografa con stupefacente attualità l’esigenza di operare selezione e qualità in una società dell’informazione, in cui la connettività pervasiva rischia di non lasciare margini di manovra al pensiero critico. Ed è qui che ha ragione Morin, alla verifica, al confronto sereno di idee e posizioni. La tecnologia non basta, la vera sfida si giocherà sui contenuti e, anche se con fatica, mentre stiamo cercando di tratteggiare i contorni della “terza rivoluzione” industriale, osservatori e studiosi se ne sono finalmente accorti. Uomini delle istituzioni, imprenditori e manager saranno sempre più impegnati a impadronirsi dei nuovi linguaggi per intercettare i bisogni della collettività, lo sviluppo del mercato, oltre che l’evoluzione stessa della storia.

Siamo riusciti a superare il dualismo “gigantismo” tecnologico e il  “nanismo” culturale?

Credo di no. Tutti i mutamenti tecnologici hanno grandi ricadute sociali che se non adeguatamente gestiti rischiano di creare ancora più disorientamento, paura e senso di inadeguatezza. Non bastano i modelli teorici, sono gli output pratici che possono portare a una svolta. Non è possibile infatti affrontare nessun tipo di cambiamento sociale se non si arriva a una ridefinizione delle identità nell’universo globalizzato. Sia che si faccia una riforma fiscale, sanitaria o del lavoro, la politica deve tornare a governare il divenire della storia, rispettando la diversità plurale, gli orizzonti allargati dello stato-nazione, la mescolanza di culture, etnie e tradizioni che sono il volto distintivo del terzo millennio. Se ignoriamo tutti questi fattori interdipendenti, qualsiasi tentativo di cambiare l’esistente rischia di rimanere lettera morta.

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